Della serie quando pensi di conoscere i Sibillini ma non sei mai salito sul Banditello!
Nel momento che arrivi a calpestare i Prati di Altino, meglio ancora quando arrivi sulla ripida cresta che sale alla
Cima delle Prata capisci che ti sei fregiato di una merito che assolutamente non hai.
Giornata assolata e fresca, nuvole sparpagliate nel cielo come fossero stecche di zucchero a velo, le condizioni
ideali per una bella sgroppata in cresta e per godersi i Sibillini. Arriviamo al rifugio d’Altino (1035m.) meglio
ai rifugi, quello diroccato dal sisma e la nuova struttura prefabbricata a pochi metri, alle 8.40 del mattino; oggi
non siamo soli, finalmente una escursione con “fratellino”, insieme a Giorgia a Roberta.
Il sentiero inizia alle spalle dei rifugi, un incrocio con una piccola edicola in legno, lo prendiamo a destra,
(indicazioni per il Banditello e Vettore), inizialmente è fresco e boscoso; dalla traccia a sinistra ci torneremo
al ritorno quando chiuderemo l’anello in programma.
Il sentiero sale largo e lento alzandosi sugli orizzonti che si aprono di tanto in tanto e che arrivano fino al
mare, si sfiora uno stazzo (quota 1290m. + 50 min.) dove incontriamo dei cavalli al pascolo e dove termina il bosco.
A circa 1400m. una traccia di un sentiero più esile si stacca sulla sinistra iniziando ad inerpicarsi sul ripido
fianco erboso del Banditello; qualche tornante per prendere quota, svariati traversi ora verso Sud ed ora vero Nord,
in questa direzione perennemente dominati dallo sfregio della Sibilla, fin tanto che con l’ultimo non arriviamo sulla
dorsale erbosa delle pendici della Cima delle Prata (circa 1600m. +1 ora). Il panorama già bello e vasto sulle colline
marchigiane con vista fino al monte Conero diventa superbo e si spalanca sulla lunga cresta che dalla Sibilla raggiunge
il Porche virando poi sul Sasso Borghese fino all’Argentella, una superba muraglia imponente esaltata dalla profonda
valle della Gardosa e da quella quasi parallela, il Canale, che da Foce sale al Sasso Borghese. Ci concediamo una lunga
inevitabile sosta, seduti tra il falasco ancora non bruciato dal sole e una bella fioritura di narcisi ed è come stare
nella prima fila di un teatro con lo spettacolo di punta della stagione. Complice anche lo spigolo ripido che avevamo
lì sopra, una pettata di circa 200m. che ci avrebbe portato ai 1800m. della dorsale di Cime delle Prata, ce la prendiamo
più comoda di quanto non avremmo dovuto fare, siamo lenti a ripartire e inevitabilmente è stata una ripartenza di quelle
che ci ha lasciato sulle gambe, solo Roberta filava che era una meraviglia ed è sparita su in cima nel giro di una ventina di minuti.
Siamo saliti lenti per via del ripido spigolo ma anche perché c’era molto da guardare e vivere fino in fondo; i versanti
precipitavano ripidi sia a destra che a sinistra, ad Ovest piccole creste secondarie si fermavano sospese sopra Foce e
il piano della Gardosa, accanto precipitavano vorticosi scivoli erbosi che sembravano avere fine solo a valle settecento
metri più in basso; ad Est lo specchio del lago di Gerosa era una gemma azzurra tra le montagne boscose e scure del
preappennino e inconfondibile si ergeva ancora più ad Est il monte dell’Ascensione, che da questo versante e a detta dei
locali col suo profilo richiama quello di Dante. Sulla linea dell’orizzonte riluceva l’Adriatico.
Con affanno raggiungiamo quello che da sotto sembrava uno sperone e che invece diventa solo un cambio di pendenza verso
il picco successivo. Altri orizzonti si aprono a Sud verso il Redentore e la cresta del Vettore, tra piccoli sali e scendi
raggiungiamo la cima Delle Prata (1850m. +1 ora). La cresta rimane erbosa, più o meno fila sulla stessa quota, a tratti
sottile, piccole cime appuntite diventano gendarmi sospesi sopra la val della Gardosa, Foce laggiù è solo un piccolo
agglomerato di case, il panorama, sembrava cosa impossibile, è ancora più grandioso, da qui in avanti abbraccia 180° di
montagne, ghiaioni, valli profonde, creste lunghissime, da quella che sale davanti a noi fino al Vettore a quella lunghissima
che dal Redentore scorre fino alla Sibilla. Come dicevo all’inizio questa classica dei Sibillini è un obbligo per tutti, è
di una spettacolarità assoluta, non averla percorsa almeno una volta significa essersi persi una prospettiva importante dei Sibillini.
Il Banditello è la davanti, una delle tante cime che compongono questa cresta, difficile dire quale, probabilmente quella
che da dove eravamo sembrava anticipare il Sasso d’Andrè, arrivarci è facile e leggero quanto spettacolare; salgo tutte le
cimette erbose che incontro e tutte terminano con coloratissimi giardini rocciosi, mi sporgo dove posso verso la val della
Gardosa, mi perdo in ogni sguardo che sembra non poter mai contenere un orizzonte così largo, fatto solo di montagne ordinate
poste a sponda di un’unica grande valle; 180° di linee familiari eppure viste così tutte insieme del tutto nuove. Fantastico. Stordente.
Prima di raggiungere il Banditello ci fermiamo in un avvallamento, al riparo dal vento per mangiare qualcosa, riprendiamo
il viaggio verso la nostra cima principale che raggiugiamo in breve tempo (+40 min. con la sosta). Inevitabile la foto di
rito in vetta, lo stesso inevitabile da qui cercare anche una improbabile panoramica che infili tutte le montagne dal
Vettore alla Sibilla compresa anche la tormentata dorsale verso la Cima delle Prata da qui una guglia appuntita, ci perdo
tempo e provo a catturarla lo stesso.
I paventati temporali di inizio pomeriggio sembrano ancora lontani e improbabili, continuiamo a scendere lenti verso Sud,
verso la sella tra il Banditello stesso e Sasso d’Andrè, al centro della sella un omino in pietre segnala l’incrocio dei
sentieri, a destra verso Foce, a sinistra verso Santa Maria in Pantano (+30 min.); ovviamente imbocchiamo quest’ultimo,
scende lento e docile dentro un’ampia valle, una traccia scavata tra il falasco alto. Un po’ di ampi tornanti accompagnati
da lunghi traversi fino a scendere ad un fontanile che sulla carta non è riportato, quota 1500m. (+40 min.).
Abbiamo intercettato il sentiero che, tagliando per intero l’imbuto da qui davvero imponente, sale al Vettore; ovviamente
lo prendiamo in discesa, nel giro di una manciata di metri rientriamo nel bosco ed in altri 35 min. di facile sentiero
raggiungiamo i ruderi di Santa Maria in Pantano, una delle ferite del sisma del 2016 più dure da rimarginare. Le prime
notizie non suffragate da documentazione scritta di questa splendida isolatissima piccola chiesa risalgono al 745-780 D.C.,
anni di fondazione ad opera del vescovo ascolano Audore; notizie certe invece provengono dagli archivi dell’Abbazia di
Farfa, che ne presero possesso nel 1050 D.C. Una manufatto di una grazia pari solo alla sua semplicità, ha resistito,
anche se col passare del tempo è stata modificata nella struttura, per 1000 anni, poi di fronte alla forza del sisma del
2016 che ha sconvolto questa zona dei Sibillini ha dovuto capitolare, è una grande perdita, un vero peccato!
Trecento metri oltre Santa Maria in Pantano, in leggera discesa si intercetta nei pressi della fonte denominata Sorgente
Santa la larga traccia del GAS, il Grande Anello dei Sibillini, che prendiamo verso sinistra. Più o meno rimanendo in quota
intorno i 1000m, tra ampie carrarecce che si alternano a piccole tracce di sentiero, ora al centro di ampi pratoni ora
dentro la boscaglia, scivolando sotto le pendici del Banditello richiudiamo l’anello e in poco meno di un’ora siamo all’incrocio
dove è posta l’edicola, alle spalle del rifugio d’Altino. Sono le 15,20 del pomeriggio.
Alla faccia del momento e del tanto osannato distanziamento sociale il piazzale antistante il rifugio è una bolgia di
tavolate e di gente euforica; preferiamo un paio di birre che consumiamo un po’ messi da una parte, un brindisi ci voleva,
per l’anello percorso che si è rivelato davvero superbo per le viste che ha saputo offrirci e anche per l’impegno fisico
(1100m il dislivello e 13 i chilometri percorsi in poco più di 6 ore),che considerando il lungo periodo di fermo, non è
assolutamente da mettere in secondo piano.